Pertus d’le Fantine – Rorà

Ciao!
Oggi siamo tornati a Rorà, in Val Pellice, per parlare di alcune creature leggendarie di queste zone ovvero le fate, chiamate qui fantine. Dovete sapere che esiste una piccola grotta naturale chiamata Pertus d’le Fantine (cioè “buco delle fate”) dove si credeva un tempo si nascondessero gli esseri fatati che abitavano le Roque d’le Fantine (“rocce delle fate”) qui vicino.
Vi avviso subito che per visitarlo è necessario farsi guidare da una persona esperta di arrampicate e dotarsi della giusta attrezzatura, quindi vi sconsiglio di recarvici finché non sarete grandi!

La grotta è alta un metro e lunga cinque o sei. Sulla Rocca di Cavour sono presenti raffigurazioni femminili preistoriche, probabilmente legate al culto della fertilità e forse fate… E si parla della Rocca nella famosa leggenda delle Fate del Pra.

Non c’è una leggenda precisa legata a questo luogo, se non che di notte le fantine uscissero dalla grotta per ritornarvi all’arrivo del sole… Tutte le fate delle Valli Valdesi sono creature notturne, che vivono in anfratti rocciosi e perché l’origine di questa credenza risale al periodo del Neolitico, quando l’area era abitata dai Liguri, che praticavano culti di fertilità collegati alla Luna. Vi ricordate quali fate stendevano i loro panni al chiaro di luna? Ma certo, quelle di Barmascura non troppo distanti da qui!
Nelle antiche leggende c’è poi il tema del filo illuminato dalla luna… proprio lo stesso elemento che ha dato il nome alla Roccha Filera di Angrogna: vi siete mai chiesti da dove arrivi l’espressione “vita appesa a un filo”? Anche altri popoli del passato pensavano che la vita degli uomini dipendesse da un filo custodito da divinità femminili… Per i Greci erano le Moire, per i Norreni erano le Norne e i Romani avevano le Parche; pensate che proprio i Romani usavano la parola fatum al singolare per indicare il destino, ma per esprimere la sorte assegnata a ciascuno di noi usavano il plurale e cioè… fata!

Le stelle alpine sono chiamate anche lacrime di fata poiché, secondo una leggenda alpigiana, sarebbero nate dal pianto di una fata divenuta mortale per amore di un contadino che la tradì.

Qualcuno ha definito le fantine come “sirene della montagna”: creature incomprensibili, tendenzialmente benevole, pronte ad aiutare i montanari in difficoltà, insegnando tecniche per la lavorazione del latte (a Barma d’Aout) o regalando tesori (sul Vandalino). Pretendono però anche rispetto e quando i loro segreti vengono rivelati, si vendicano senza pietà scatenando spesso la forza dell’acqua, altro elemento a cui sono sovente associate.
Un tema ricorrente nelle leggende di queste antichissime divinità alpine è la partenza delle fate: a Cournilhoun, Pramollo e altrove, le fantine tradite se ne vanno per sempre, con i loro misteri e la loro ricchezza.

In alcune aree del Piemonte, le coppelle (incisioni rupestri dal significato ancora poco noto) sono chiamate tazzine delle fate e si pensa che, riempite d’acqua, fossero collegate alle fase lunari.

Gli antichi popoli del Nord Europa credevano che non si dovessero disturbare gli spiriti che abitavano nelle rocce, creature che vivevano già lì prima dell’arrivo dell’uomo e che non se sarebbero mai andati… Nel Cuneese, territorio non troppo distante dalla Val Pellice ma di forte tradizione cattolica, i luoghi sacri delle fate sono diventati dei santuari dedicati alla Madonna.
Alcuni racconti di fate delle Valli sono stati arricchiti di elementi e resi praticamente delle fiabe come “La fata e i pidocchi” o “La fata serpente” ma sembra proprio che, in un qualche modo, qui non ci si dimenticherà mai di loro!

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