Storia e vicende di Giosuè Gianavello

Ciao!
Da qualche tempo stiamo seguendo le avventure di Giosuè Gianavello e dei suoi Banditi. Presto torneremo alle tante storie ambientate nelle Valli Valdesi, ma oggi vorrei fare un breve riassunto (e molti approfondimenti, basta seguire i link verdi nel testo) della storia del capitano… e quindi salutarlo degnamente!
Il contadino Giosuè viveva in una casa oggi conosciuta come la Gianavella, ai piedi della valle di Rorà. Viveva la vita semplice del montanaro, coltivando i suoi campi e vivendo dei frutti della terra, assieme alla moglie Caterina e le tre figlie. Non era però una vita felice e spensierata: era infatti di confessione valdese e a quell’epoca le Valli facevano parte del Ducato di Savoia, uno stato cattolico che non poteva accettare una popolazione di religione diversa, condannata come eretica dalla Chiesa Ufficiale (per sapere chi sono i Valdesi, clicca qui).

I Valdesi avevano ottenuto il riconoscimento della loro confessione grazie al Patto di Cavour del 1561, ma le autorità sabaude non avevano mai accettato la presenza dei protestanti nei loro confini. Per questo si affidavano all’opera missionaria dei frati, il cui ricordo sgradevole è arrivano fino a noi attraverso diversi luoghi delle valli (Pra La Gesia, Lou Couént). Inoltre, interpretando in maniera disonesta il Patto (che stabiliva i confini entro cui erigere soltanto i templi valdesi), cominciarono a ordinare lo sfollamento delle famiglie valdesi in base a tali confini…
Fin da bambino Giosuè crebbe in un clima di continue minacce, incertezza e astio nei confronti delle autorità ducali che ne forgiarono, tra l’altro, un carattere di ferro.
Nel 1655, arrivò infine l’ordine delle autorità che obbligava, sotto pena della vita e della confisca di case e beni, la popolazione valdese a sgombrare entro 3 giorni i comuni di Luserna, San Giovanni (all’epoca divisi, leggi qui) e Torre Pellice, (tra cui le terre di Gianavello). Per scampare alla condanna, venivano concessi 20 giorni per convertirsi alla fede cattolica. Nel mese di gennaio di un rigido inverno, moltissime famiglie raccattarono quindi ciò che potevano, caricarono sulle spalle i bimbi piccoli e si avviarono incamminandosi nella neve alta verso i villaggi montani.

All’inizio del 1655 Gianavello si trovava quindi rifugiato a Rorà, in attesa che il Duca revocasse l’ordine di sgombero. Niente di tutto ciò accadde e, anzi ad aprile la Val Pellice conobbe la tremenda strage passata alla storia come Pasque Piemontesi. Il villaggio in cui si trovava Giosuè miracolosamente scampò alla sorte e da qui i Valdesi iniziarono a prepararsi al peggio: in diverse occasioni l’avversario cercò di espugnare Rorà, ma gli abitanti resistettero, grazie anche all’astuzia del loro capitano (leggi qui la storia della difesa di Rorà).
Infine anche i Rorenghi dovettero arrendersi all’esercito sabaudo. Gianavello rifugiò in Francia, studiando la futura resistenza delle Valli.
L’occasione per la riscossa si presentò nel mese di maggio quando conobbe il capitano Bartolomeo Jahier che stava conducendo la guerriglia in Val Chisone… i due si allearono e stabilirono il loro quartier generale al Verné di Angrogna.
Quando il Verné venne attaccato dai nemici e i Valdesi dovettero affrontare l’assalto, Gianavello venne ferito al petto nella battaglia e dovette trascorrere cinque settimane di convalescenza a Pinasca, nella valle adiacente.
Infine ad agosto, venne firmata dal Duca la Patente di grazia e perdono con la quale concedeva nuovamente (perché costretto dagli altri paesi europei) la libertà ai Valdesi, mettendo fine alle ostilità.

Le condizioni per la pace non erano favorevoli ai Valdesi, i quali venivano sempre trattati con ostilità; Gianavello continuò perciò la sua guerriglia, nota come Guerra dei Banditi.
Infine dopo anni di situazione insostenibile i delegati del popolo decisero di esiliare Gianavello per porre fine alle rappresaglie nei confronti di chi sosteneva i Banditi.
Giosuè si trasferì allora a Ginevra dove molti Valdesi avevano già cercato rifugio: qui visse fino alla vecchiaia, senza mai poter tornare nelle sue Valli, ma lasciando un ultimo segno nella storia scrivendo le Istruzioni e radunando attorno a sé alcuni coraggiosi giovani, tra cui Henri Arnaud, che diventarono poi i protagonisti del Glorioso Rimpatrio.

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